Approfondimenti psicologici

Le paure nei bambiniMaria Assunta Giusti


I bambini naturalmente devono fare i conti con fantasmi e paure; noi adulti spesso gli complichiamo la vita o lasciandoli esposti senza protezione a queste immagini, o utilizzandole per ridurli all'obbedienza
Quando il bambino nasce passa da una situazione intrauterina si-cura e protettiva ad una situazione a "rischio" in cui tutto é nuovo, sconosciuto, spaventante.
La realtà intorno é tutta da esplorare, tutto é da conoscere sia gli oggetti che le persone. Ognuna di queste cose può essere "buona'"o "cattiva", segno di vita o di morte. Il bambino deve porre ordine a queste cose esterne facendole sue imparando a porle dentro di sé attraverso immagini, concetti vissuti, popolando il suo mondo interno di fantasie ed a volte fantasmi, incertezze ed incognite spaventose, insomma di tante paure che sono i suoi interrogativi di fronte ad un mondo esterno a lui sconosciuto.
Parlando di paure nasce l'esigenza di fare una distinzione tra le paure del mondo esterno e quello del mondo interno, in altri termini tra paure vere, oggettive e paure false, soggettive.
Per il bambino questa distinzione non esiste e ciò che interno può essere proiettato all'esterno e viceversa. Inoltre il "cucciolo d'uomo" é sprovvisto di un istinto che lo avverte del pericolo per cui una guida é indispensabile, in genere il genitore, che gli insegni mettere in atto comportamenti adeguati alle varie situazioni e lo introduca alla conoscenza del mondo.
Generalmente non sono le paure reali che preoccupano il genitore o l'educatore, ma quelle immotivate o irragionevoli di fronte alle quali ci si sente incapaci e impotenti. Queste ultime pur provenendo dal mondo interno del bambino non sono né immaginarie né sottovalutabili, perché per il piccolo ciò che é sentito é reale, e quindi vero.
Ma qual é l'origine di tali paure?
Per poter rispondere dobbiamo tenere presente sia la già citata ignoranza del bambino, sia la novità data dai propri sentimenti che la psiche e l'Io, non ancora organizzato, non sa affrontare e catalogare.
In linea di massima le varie paure sono riconducibili alle paure primitive, o primarie, del lattante, ovvero le paure di separazione o abbandono, e quella di punizione.
La prima si ingenera in un bambino che dipende interamente dal suo ambiente per la soddisfazione dei suoi bisogni e l'evitamento di sensazioni sgradevoli ed ansiogene.
La seconda si sviluppa quando il bambino già conosce sé ed il mondo, ma ancora dipende dalla famiglia sia in senso biologico che affettivo.
Il piccolo teme di essere separato e abbandonato dalla madre, o dalle persone che sono per lui un punto di riferimento, e nutre angosce di morte collegate con l'abbandono stesso. E' come se istintivamente capisse la sua totale dipendenza dall'altro da cui dipende la sua sopravvivenza.
La paura di punizione è strettamente correlata alle precedenti.
Il piccolo si assoggetta ai desideri degli adulti da cui dipende per non essere allontanato e lasciato a se stesso. La punizione paventata e spaventante è l'abbandono. Il bambino impara a soddisfare i desideri degli altri per sentirsi amato ed accettato.
Insorgono meccanismi psichici così importanti che, se non sono superati o incanalati in modo corretto, daranno luogo a gravi deficit, riscontrabili anche in età adulta, quando l'ex bambino instaurerà legami di dipendenza, o sostituirà le vecchie e vere paure in nuove paure di cose apparentemente innocue, dando luogo ad esiti patologici.
Ad ogni stadio di sviluppo del bambino possono corrispondere paure che portano a varie ripercussioni nella vita dell'individuo.

Le paure immotivate dei bambini sollecitano negli adulti sensazioni di incapacità e sentimenti di impotenza.

Ogni bambino venendo al mondo incontra una realtà sconosciuta ed incontrollabile, i genitori sono un ponte fra la fantasia e la realtà.

La primitiva paura di separazione può dar luogo ad ansie abbandoniche (nevrosi) e quindi rendere difficoltoso per il bambino qualsiasi allontanamento dalle persone o dai luoghi conosciuti; questo può comportare delle difficoltà più o meno gravi al momento dell'inserimento nella scuola materna, fino all'instaurarsi di una vera e propria fobia della scuola.
La paura di separazione, che si sviluppa nel secondo semestre di vita, può dar luogo alla paura della morte, di essere rapito, di cadere, oppure alla più generica paura degli "spauracchi", entità misteriose che possono allontanare dalla famiglia e dalla casa.
Molti genitori ed educatori fanno ancora ricorso a queste immagini minacciose per ottenere l'obbedienza del bambino, senza rendersi conto di come questa "strategia" possa portare il bambino a credere in mondi immaginari popolati di figure negative e credute reali anche perché avallate dalle parole dell'adulto.
A volte non comprendiamo fino in fondo quanto le parole possano incidere sulla mente del bambino, ma non a caso si dice l'UOMO NERO; é proprio l'indeterminatezza di questa figura, il colore nero, che dà una sensazione di mistero e solitudine: NERO come la notte, di cui già il bambino ha terrore.
Nella notte e nel sonno il piccolo vede la separazione dai grandi e dalla vita, e l'ora di andare a letto annuncia il dover percorrere la via della solitudine e del buio.
Un'altra espressione é "l'uomo con il sacco", il piccolo immagina di essere introdotto e rapito, suggerendo l'immagine di una regressione punitiva, il sacco é ben lontano dalla protettività rappresentata dal sacco materno.
Il "bau bau", entità senza una definizione ed un contorno immaginabili, e proprio per questo specchio della vasta possibilità di fantasie e proiezioni che il bambino può fare, pronto ad essere utilizzato anche con i più piccoli, visto che utilizza un linguaggio tipico del-l'infante.
La nostra cultura ci tramanda cantilene, storie, piene di modalità aggressive nei confronti del bambino, e queste storie sono ancora oggi uno strumento di violenza, nel senso di violazione di uno spazio e di una persona ancora incapace di difendersi.
Il bambino fantastica di mostri inglobanti, divoratori, aggressivi, distruttivi, e tutto questo mentre percorre entro la sua psiche il cammino di costruzione del suo Io, che passa attraverso l'elaborazione di sensazioni e sentimenti di separazione, distruzione, aggressione e riparazione.
Nei periodi successivi della sua infanzia il bambino si imbatterà naturalmente nel problema della vita e della morte, tanto da immaginare e temere la morte dei propri cari, e questo sarà l'espressione sia della paura di abbandono che dei sentimenti di colpa che il bambino alimenta dentro di sé provando inconsci bisogni di liberazione.
I genitori sono contemporaneamente fonte di amore e di frustrazione, sono la realizzazione e l'ostacolo dei propri desideri.
La paura di punizione, già citata porta il bambino a formarsi immagini distruttive entrando in contatto con la propria fragilità psichica e fisica. Per non perdere il genitore, il piccolo soggiace e si adatta mentre decodifica ed interpreta il mondo a secondo della "versione" che la famiglia gli propone.
Dalla elaborazione di questi temi dipenderà la capacità di affidarsi, fidarsi ed avere fiducia in sé stessi (2 e 3 anno di vita).
L'adulto é il decodificatore della realtà ed é importante che tenga il contatto con il reale ed il vero. Le cose di tutti i giorni sono fonte ti ansia se inserite in un mondo sconosciuto, e le reali paure come quella dell'acqua, del fuoco, dei temporali, di alcuni animali, ecc. possono trasformarsi in vero e proprio terrore, se il mondo interiore del bambino è privo di nozioni adeguate e di difese.

Il televisore, moderno baby sitter, propone continuamente immagini terrifiche, reali o imagininarie che bombardano la psiche dei bambini, nutrendo e rinforzando paure ataviche. Controlliamo e selezioniamo ciò che i nostri figli devono e possono guardare.

Il buio, la notte da sempre spaventano l'uomo e da sempre l'uomo adulto attiva diversi esorcismi per dominare la paura. E' la notte che, per tutti i bimbi è l'annunciarsi dell'ora di andare a letto, significa separarsi ed essere soli.

Il fuoco può trasformarsi nel diavolo o nel drago, il temporale in un mostro grigio e tuonante che lancia saette, gli animali in essere divoranti ed invadenti.
L'adulto che si ricordi alcuni momenti della propria infanzia, o che riesca a fantasticare questo mondo bambino, si rende conto di come la realtà é già abbastanza ricca di spunti aggressivi per la mente dei piccoli, e che non occorre indurre altre sollecitazioni a questo proposito.
Un animale feroce é naturalmente induttore di immagini distruttive che rievocano associazioni di inglobamento che si riallacciano alla nascita ed al trauma del parto, non occorre che l'adulto lo utilizzi come modalità terroristica, minacciando magari di... chiamare il LUPO.
Nelle favole il fanciullo sembra aver trovato il riscatto da tanto terrore, quando apre la pancia al lupo, o quando sottolinea l'inadeguatezza dei genitori che, pur sapendo quanti pericoli nasconde il bosco, continua a mandate i bambini da soli...
Nel mondo simbolico del bambino fa la sua apparizione anche la paura relativa alla madre buona che si trasforma in madre cattiva, fate e streghe, maghi ed orchi; dopo tanto impegno dell'eroe le fate vincono sulle streghe, il bene sul male, così come ogni bambino si augura di sconfiggere i propri fantasmi.
Anche il tema dell'abbandono ritorna nelle favole e nelle leggende: Romolo e Remo, Pollicino, la strega di Hansel e Gretel, il bambino abbandonato incontra o benefattori, la lupa di Romolo e Remo, o persone cattive ed ingannevoli, la strega che nutre per poi volerli mangiare.
Ci sarebbe da domandarsi se i bambini credono più alla generosità degli animali o a quella dei loro simili...
L'adulto deve prendere spunto di riflessione da tutto questo, comprendere quanto é importante la sua presenza e la sua guida nel cammino del bambino. Oggi il "genitore terrorizzante" non é più "di moda", sono sempre più gli adulti che non parlano più di uomini neri, di bau bau, ecc. ma sono anche molti i genitori che pretendono dal piccolo autosufficienza ed autonomia in tempo sempre più brevi.
Il bambino, nella nostra società, é sempre più frequentemente costretto a tempi lunghi di solitudine, in unica compagnia del televisore, mentre il genitore è al lavoro o distante.
E qui ricomincia la storia, con il televisore, sostituto genitoriale, che propone immagini di mostri, di guerre, ecc. Vengono così contenuti e repressi i bisogni infantili di amore, affetto, tenerezza, sessualità, nonché l'esigenza di attività e movimento, con una conseguente inibizione delle funzioni che portano all'autonomia ed alla indipendenza di pensiero ed azione.
Il bambino resta privo di quelle difese che lo rendono capace di contenere le sue paure, e di superare in modo positivo la sua infanzia.
Nell'infanzia prima, e poi probabilmente nell'età adulta, quel bambino ripropone le sue angosce sotto forma di paure a volte anche singolari.

Alcune paure fisiologiche e non più comuni:

Paura dell'estraneo
Disturbi del sonno
Paura della scuola
Paura di parlare
Paure notturne
Paure degli animali
Paura degli esami
Paura di castrazione



La paura della scuola.Maria Assunta Giusti


Come abbiamo visto in un articolo precedente, che trattava in generale, delle paure infantili, si può fare una distinzione tra la paura e la fobia.
La prima si riallaccia ad un evento reale mentre la seconda é collegata ad angoscia ed ansia interne all'individuo, spiegabili con meccanismi di ordine psichico e quindi relative ad una "realtà- interna".
Una delle più comuni fobie dell'infanzia é quella della scuola.

In questi casi il bambino non ha un apparente motivo per non andare a scuola, eppure ogni mattina quando si presenta questo momento viene preso da forti crisi di ansia e di panico che gli impediscono di recarvisi.
Il sintomo si presenta in genere sui 6 anni, cioè alla prima esperienza scolastica, ma può comparire anche in momenti successivi legati ad insuccessi o difficoltà nel cammino scolastico che infrangono un'immagine di se piuttosto alta che in genere questi soggetti hanno nei propri confronti.
Questa fobia viene spiegata dinamicamente con un problema di separazione.
Molto spesso nella letteratura psicologica ricorre questo termine: separazione.
Il bambino é legato a schemi che gli decodificano la realtà e quando si trova di fronte ad un evento diverso rispetto ai suoi schemi, sperimenta pena o angoscia di separazione.
Nell'infanzia il bambino deve affrontare tanti momenti di separazione, con ansie relative a ciò che viene perso e a ciò che si immagina nel futuro.
L'uomo conosce ciò che lascia ma non quello a cui va incontro e per far sì che nella vita un individuo affronti con fiducia e serenità i vari ostacoli é importante che le figure genitoriali gli diano il permesso sia di crescere che di sbagliare, oltre alla stima nelle proprie capacità di RI-USCIRE e RI-NASCERE.

Il bambino quindi ha difficoltà a staccarsi dalla vecchia situazione familiare e spingersi nella nuova dimensione scolastica entrando definitivamente a far parte del mondo sociale.
Ne é prova il fatto che durante il resto della giornata il bambino é attivo e tranquillo anche se si dedica allo studio, mentre la situazione precipita al mattino, prima dell'orario di scuola.
In alcuni casi questa fobia é accompagnata da altri comportamenti specifici, che possono riguardare o la sfera del mangiare, oppure la classica paura del buio, della solitudine etc. che definiscono meglio la personalità specifica di quel bambino, ma prevalentemente il piccolo é disorientato al momento del distacco dall'ambiente familiare perché nella sua mente questo atto acquista un significato simbolico particolare.
Il distacco dalla casa simbolizza sia il distacco dai familiari che la propria crescita.
Il bambino é attaccatissimo a queste figure, specie alla madre che gli fornisce la possibilità di non sentire varie paure e si potrebbe supporre che a livello inconscio la madre agisce un meccanismo controfobico assicurando protezione al figlio e in definitiva garantendo anche se stessa da eventuali paure di abbandono e di separazione.
L'uomo conosce ciò che lascia ma non quello a cui va incontro e per far sì che nella vita un individuo affronti con fiducia e serenità i vari ostacoli è importante che le figure genitoriali gli diano sia il permesso di crescere che quello di sbagliare!

Le famiglie di questi bambini generalmente non facilitano il distacco dal proprio ambiente ed un conseguente attaccamento alla scuola, ma anzi ostacolano l' indipendenza del figlio, ed il suo ruolo di studente,e questo può essere fatto sia osteggiando i distacchi che proponendoli bruscamente senza il necessario sostegno e tolleranza nei momenti di transizione.
D'altra parte un bambino che desidera crescere può sentirsi salvato da quella "prova sociale" che la scuola rappresenta: lui dovrebbe dimostrare, le sue effettive capacità mettendosi in relazione con gli altri, che sono a lui estranei e concorrenti.
L'insegnante é poi un nuovo genitore a cui far riferimento, e con il quale iniziare tutta una nuova relazione di affidamento e adattamento é inoltre colui che rappresenta un nuovo mondo fatto di regole, ostacoli e prove, che indicano al bambino come piano piano il suo cammino si stia dirigendo verso il mondo adulto.
La famiglia ha quindi per ogni bambino un valore formativo ed educativo grandissimo e deve dargli la possibilità di interiorizzare il permesso di crescere ed affidarsi ad altre persone ed altre situazioni.
La scuola, ed in questo caso l'insegnante, deve d'altra parte tenere in considerazione il fatto che un bambino di 6-7 anni é ancora condizionato da esigenze e richieste di età precedenti e molto spesso deve elaborare un distacco dalla famiglia proiettando magari sulla maestra le richieste che soddisfaceva precedentemente con la madre .
La consapevolezza di queste difficoltà e di questi meccanismi può portare ad una sana collaborazione tra la scuola e famiglia che è auspicabile in ogni caso ed indispensabile nello specifico delle fobie scolastiche.
Accanto all'eventuale trattamento psicoterapeutico da fornire al bambino é opportuno suggerire anche una terapia familiare per scoprire quale é il motivo per cui bambino e genitori si sono legati eccessivamente e comunque a discapito della crescita.
La paura della scuola può essere espressione della paura di crescere e separarsi da mamma e papa.
Il bambino può avere sviluppato un eccessivo attaccamento alle figure genitoriali o avere associato la sua sicurezza, la sua tranquillità all'ambiente domestico.
Spesso questo atteggiamento è inconsapevolmente incoraggiato dai genitori i quali a loro volta negano lo spettro della separazione e dell'abbandono!



Sviluppare le potenzialità innate nel nostro bambino

Sappiamo che per un bambino piccolo (fino almeno ai 7 anni) la prima forma di apprendimento e di adattamento al mondo è l'imitazione.
Per questo i genitori devono essere ottimi esempi da imitare, ma anche responsabili di offrire al bambino l'ambiente e le condizioni più adatte affinché si nutra di ciò che è a lui più consono, ciò che lo renderà forte e che al momento giusto gli permetterà di affrontare positivamente anche tutto il resto.

La cura dell'ambiente e del modo di porsi al bambino piccolo sono fondamentali proprio perché per lui tutto è stimolo, tutto colpisce i suoi sensi e la sua interiorità:
occorre grande attenzione a non offrire stimoli eccessivi (questo lo dice la ricerca scientifica, che ha equiparato l'iperstimolazione all'ipostimolazione, dato che hanno risultati pressoché identici) che lo disorientano, gli impediscono di coglierli nella loro singolarità, lo agitano, gli impediscono di fissarli profondamente nelle propria sensibilità, di rielaborarli, lo rendono irrequieto perché non si sente in grado di affrontarli, di capirli e trattenerli tutti.
"Nei primi 6-7 anni di vita l'essere del bambino si apre senza riserve a tutto ciò che accade nel suo ambiente. Tutte le impressioni penetrano profondamente nell'organismo infantile e influenzano le struttura e le funzioni degli organi che in questo periodo si vanno formando. Vengono accolti e incorporati tutti gli avvenimenti senza possibilità di discriminazione tra ciò che è buono o cattivo, tra ciò che crea difficoltà o aiuta. Il bambino non è ancora in grado di 'afferrare con la coscienza', poiché il suo cervello, portatore di coscienza, è ancora coinvolto in un processo di sviluppo. Questo significa che nel bambino la formazione degli organi si completa sotto l'influsso determinante degli avvenimenti esterni. Perché questo possa avvenire con forza e nel modo più sereno è necessario prestare particolare attenzione ai colori, ai suoni, ai giocattoli, all'ambiente umano che circonda il bambino.” R. Steiner
Per poter sviluppare l'intelligenza e la sua potenzialità innata il tuo bambino deve essere lasciato libero di sviluppare due precise tensioni: il movimento e l'immaginazione.
Queste due tensioni non necessitano di essere stimolate, ma semplicemente di non essere represse con stimoli errati e limitanti
(per esempio televisione, cartoni animati, computer, giochi “didattici”, etc, sempre con buon senso)
e di essere lasciate libere di esprimersi nel loro ambiente più adatto.
Nei primi tre anni di vita l'ambiente più adatto è la famiglia e le attività e gli stimoli più adatti sono quelli della vita quotidiana: è importante dare al bambino la possibilità di stare con la mamma quando cucina, quando lava, quando stende i panni, quando pulisce i pavimenti, fornendogli strumenti veri che anche lui possa usare per partecipare a modo suo.
"Il bambino accoglie in sé tutti gli avvenimenti e le esperienze provenienti dall'ambiente dell'adulto che è attivo intorno a lui, le afferra con la propria volontà, le interna nuovamente con l'imitazione, dando vita così ad un gioco senza uno scopo preciso. [...] E' importante perciò che l'adulto, in presenza di un bambino, sia attivo in modo tale da risvegliare in lui gli impulsi necessari. Ad es. quando la mamma pulisce la verdura, rammenda la biancheria, scopa la stanza o stira, agisce in modo molto più stimolante che se scrivesse al computer; lo stesso, il papà, quando taglia la legna per il camino o lava la macchina, è più stimolante di quando fa i conti o legge il giornale.
Il fatto che il bambino impara attraverso l'imitazione porta con sé la conseguenza che l'adulto dovrebbe comportarsi, in presenza del bambino, in modo degno di essere imitato".

Allora ricordiamoci di :
- Lasciarci guidare dal nostro bambino: lui, in qualche modo, vi indicherà quello che gli interessa e quando è pronto per un nuovo progresso.
- Rendere partecipe il nostro bambino della vita familiare, perché si senta contenuto, appartenente, importante.
- Seguire ritmi precisi all'interno della giornata, della settimana, delle stagioni e dell'anno. Il bambino riceverà sicurezza e non avrà paura dei piccoli cambiamenti che si ripresenteranno di volta in volta, poiché il copione da seguire sarà sempre più o meno lo stesso.
- Offrire giocattoli il più possibile semplici e naturali, bastano dei pezzetti di legno, delle pigne, delle foglie, dei sassolini, per divertirsi: poter immaginare che un oggetto diventi ciò che desideriamo è il miglior esercizio per sviluppare fantasia e creatività.
- Partire sempre dal concreto: i bambini fino ad almeno 6/7 anni compiuti non possiedono ancora la capacità del pensiero astratto, imparano dall’imitazione e dalla realtà. Non è necessario, e nemmeno utile, fare gli “insegnanti”, il bambino impara i concetti come “grande”, “piccolo”, “dentro”, fuori”, “sopra” “sotto”, etc senza che noi glieli spieghiamo, ma semplicemente osservando la realtà e sperimentando.
- Manifestare sempre le vostre emozioni e insegnare loro che quello che provano ha un nome: “ora sono un po’ arrabbiato, ma vedrai che tra un attimo farò un bel respiro e cercherà di calmarmi”. “Lo so, hai paura! Anche io ce l’avrei al tuo posto, prova lo stesso, ci sono qui io vicino a te ad aiutarti. Bravo! Sei stato davvero coraggioso!”
- Strabiliarvi per ogni piccola conquista del vostro piccolino: a voi sembrerà poco, ma per fare anche un piccolo gesto come lanciare una pallina è necessario uno sviluppo cerebrale, una coordinazione, una maturità gestuale notevoli.
- Lodarlo sempre e mostrare sempre grande entusiasmo per ogni sua conquista, questo accrescerà la sua autostima e lo renderà voglioso di migliorarsi sempre più.
- Ripetergli spesso che è un bambino sveglio e intelligente. La questione è nota come “profezia che si auto-avvera” o “effetto pigmalione”: il bambino diventa quello che voi gli fate credere di essere, infatti lui non nasce con un’immagine di sé, siete voi che gliela fornite. Quanto più voi crederete in lui, tanto più lui non vi deluderà.
- Non confrontare mai il vostro bambino con il fratellino o con i suoi amichetti, i bambini non maturano tutti con gli stessi tempi e non è detto assolutamente che chi si dimostra precoce da piccolo lo sarà anche da adulto, molte volte infatti accade proprio il contrario: ogni persona è unica e meravigliosa e nasconde dentro di sé un tesoro che aspetta di essere portato alla luce.
- Essere rilassati, positivi, gioiosi: spesso non è il cosa facciamo ma il come lo facciamo a fare la differenza!


AGGRESSIVITA'  NEI  BAMBINI  ...... 
passeggera  o  preoccupante ..???

Quando i nostri bimbi mostrano segni di aggressività, noi genitori entriamo subito in stato di allarme e ci facciamo assalire da mille dubbi. Ma i comportamenti che interpretiamo come aggressivi, spesso sono solo dei “maldestri” tentativi del bambino di entrare in comunicazione con gli altri, perché il piccolo non ha ancora sviluppato i mezzi adatti (come la comunicazione verbale) per relazionarsi con chi gli sta intorno. Vediamo cosa ne pensa la pedagogista.


Dobbiamo preoccuparci se il nostro bambino ha comportamenti aggressivi?
"Innanzitutto, bisogna fare distinzione fra i vari tipi di aggressività. Noi adulti tendiamo a pensare che un bambino aggressivo stia attuando un atteggiamento negativo, mentre questo non è sempre vero. Esiste, infatti, un’aggressività sana e normale che è il modo naturale con cui i bambini cercano di mettersi in comunicazione con gli altri. Questo comportamento, che noi definiamo in modo errato “aggressivo”, non ha niente a che vedere con l’aggressività causata da ansie o paure e quindi non ci deve far preoccupare."


Come riconoscere l’aggressività “naturale” per cui non ci dobbiamo preoccupare?
"Un bambino molto piccolo non possiede le proprietà di linguaggio per comunicare con i suoi coetanei. Quindi, per entrare in comunicazione, si avvale del contatto fisico, cercando di acchiappare gli altri (regalando così qualche graffio o pizzicotto) oppure di “assaggiarli”, proprio come fa con tutte le cose che vuole conoscere portandosele alla bocca.
In questo caso, non si tratta di aggressività vera e propria, ma di un modo inadeguato e inappropriato di rapportarsi con gli altri. Al nido graffi e morsi si sprecano, mentre alla scuola materna capita più raramente, perché i bambini sono già in grado di comunicare verbalmente con una certa efficacia."


Quindi non serve sgridare o punire un bambino che ha questi atteggiamenti?
"Sgridarlo in questi casi non serve a nulla, perché il piccolo non capisce il collegamento tra la sua voglia di conoscere e il possibile dolore causato agli altri. L’unica cosa che si può fare è cercare di spiegargli le motivazioni per cui una determinata cosa non si fa (ad esempio: “Non tirarle i capelli perché le fai male e poi lei piange”) e tenerlo d’occhio più che altro per l’incolumità degli altri. Questo atteggiamento in un bambino fra i 2 e i 5 anni circa è del tutto normale e non ci deve far preoccupare."


Dobbiamo intervenire quando i bambini fanno dei giochi che ci sembrano aggressivi come la lotta?
"L’aggressività giocosa, detta anche gioco turbolento, fa sempre parte dei metodi per entrare in comunicazione con gli altri. Se ci pensate, tutti i cuccioli di mammifero attuano il gioco turbolento (pensate a due leoncini che si prendono a zampate senza farsi però del male) e studi etologici dimostrano come questo tipo di gioco sia funzionale alla crescita.
La conoscenza degli altri passa innanzitutto attraverso il contatto fisico ed è stato dimostrato che i bambini che fanno più spesso ricorso al gioco turbolento diventano poi adulti che riescono a relazionarsi meglio con gli altri. Fa fede, ad esempio, il rapporto tra fratelli: i fratelli che fanno molti giochi di lotta di solito sviluppano una fraternità vera, mentre quelli che vengono richiamati continuamente all’idea che il fratello non si tocca finiscono per sviluppare più facilmente un rapporto distaccato o conflittuale. Come trasmettiamo amore al bambino toccandolo, così anche lui ha bisogno di toccare gli altri per comunicare."


Come ci dobbiamo comportare quando due bambini litigano per lo stesso giocattolo?
"La contesa per gli oggetti è un classico nei bambini fra i 2 e i 5 anni circa. Non si tratta di aggressività ma, anche in questo caso, di un modo per entrare in comunicazione. Il giocattolo o l’oggetto conteso in realtà è solo un pretesto per confrontarsi con gli altri.
E’ inutile fare la morale: a 5 anni non si è altruisti ed è inutile cercare di spiegare al piccolo che deve condividere le proprie cose con gli altri. Anzi, prima il bambino capirà che cosa è suo e che cosa no, prima potrà decidere di cedere uno dei suoi giocattoli a un amichetto.
Prima di tutto deve fare l’esperienza del “mio”. I bambini sono in cerca della propria personalità, di una propria identificazione che li distingua dagli altri, e la contesa li aiuta a definire cosa è “mio”, quindi a definire sé stessi (la parola “mio”, infatti, contiene la parola “io”)."


Qual è, invece, l’aggressività negativa cui dobbiamo fare attenzione?
"Esiste un tipo diverso di aggressività, che di solito si manifesta come “valvola di sfogo” quando il bambino cerca di scaricare delle ansie o delle paure. In questo caso, è importante cercare di comprendere la causa del suo atteggiamento, perché solo eliminando alla base il disagio che lo turba il bambino tornerà sereno e abbandonerà il comportamento aggressivo. Degli esempi classici sono il nipotino che si comporta in modo aggressivo con i nonni perché in realtà vorrebbe stare con i genitori oppure il figlio più grande che inizia a comportarsi male con i compagni di asilo perché è geloso del fratellino appena nato."


Quindi, a volte i bambini assumono comportamenti aggressivi soltanto per attirare la nostra attenzione?
"Pur di ottenere l’attenzione di mamma e papà, il bambino è disposto anche a farsi sgridare o punire. La cosa che più lo spaventa è essere ignorato. I bambini che si comportano male “solo per farsi vedere”, sono evidentemente bambini che avrebbero bisogno di più attenzione positiva. Se il piccolo ottiene la nostra attenzione quando è tranquillo (possiamo ricorrere a frasi incoraggianti quali: “ma come sei bravo!”, “che bel disegno!”), non avrà bisogno di combinare qualche guaio per farsi guardare dai genitori."

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